Olimpiadi Rio: quello che dovreste sapere sul team dei rifugiati

La mole di rifugiati causati dai conflitti mondiali ed in particolare dalla guerra in Siria, ormai al quinto anno di combattimenti, ha raggiunto una grandezza tale da renderla il più grande esodo umano dalla seconda guerra mondiale.

Il problema dei rifugiati sta toccando e interessando molti più paesi oltre a quelli direttamente coinvolti e distrutti dai conflitti: i paesi europei sono il primo porto d’approdo per chi fugge da Africa e Medio Oriente, gli Stati Uniti sono impegnati nel dibattito “open or closed borders” (confini aperti o chiusi) che coinvolge migranti Europei, Africani, Mediorientali, Messicani e Sudamericani; perfino la lontana Australia è stata costretta a coprire un ruolo in questo dibattito trovandosi a dover rispondere alle accuse di aver segregato centinaia di rifugiati in campi di detenzione isolati.

Insomma, questo problema ha avuto e continua ad avere una risonanza ed un impatto globali, tanto che il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso, per la prima volta, di costituire e far partecipare un team di rifugiati alle competizioni di Rio 2016.

Chi fa parte del team?

Tutti i componenti del team dei rifugiati vengono da parti del mondo diverse e hanno una storia unica e triste alle loro spalle. Lo status dei dieci atleti che fanno parte della squadra è stato verificato dalle Nazioni Unite: tra le fila del team rifugiati si contano due nuotatori siriani, due judoka congolesi, cinque corridori del Sud Sudan e un maratoneta dell’Etiopia.

La strada che li ha portati a Rio è tortuosa e complicata, come quella della nuotatrice Yusra Mardini, la ragazza diciottenne in fuga dalla Siria distrutta dalla guerra assieme alla sorella è stata in grado di trascinare in salvo diciassette persone nuotando nel gelido mar Egeo in piena notte, dopo che il barcone su cui stavano compiendo la traversata verso le coste greche si è improvvisamente spento.

Una bandiera per unirli

Venendo da paesi diversi, i dieci atleti inevitabilmente parlano lingue differenti, hanno tradizioni e culture distinte e sarebbe stato impossibile far suonare l’inno nazionale e sventolare le bandiere di ogni paese durante la cerimonia iniziale.

La sera dell’inaugurazione, i rifugiati hanno sfilato sventolando la bandiera olimpica, ma ora hanno trovato di comune accordo un simbolo che li rappresenti e che racconti la loro storia. Hanno scelto una bandiera a sfondo arancione, tagliata da un’unica striscia nera, per ricordare il colore dei giubbotti salvagente che hanno dovuto indossare durante le loro traversate verso una vita migliore.

Un simbolo semplice che racconta la loro storia, e quella di altri milioni di persone che lasciano il loro paese di origine per sfuggire agli orrori della guerra: madri, padri, dottori, insegnanti, vecchi e bambini, quando indossano quel giubbotto sono indistinguibili uno dall’altro, sono tutti parte di una lotta comune e disperata su cui il team di rifugiati sta cercando di far brillare una luce nuova.